Anche le denominazioni commerciali del cioccolato sono normate per legge. Si tratta del D.Lgs. 178/03 e guida l’OSA nella corretta formulazione e denominazione dei prodotti di cioccolato.
Cioccolato al latte, fondente e bianco: quali differenze?
Cioccolato al latte, fondente e bianco: quali differenze?
Oggi dedichiamo un post al cibo degli dei. Parliamo di cioccolato, di alcune classificazioni merceologiche e delle tappe fondamentali del processo produttivo.
In Italia abbiamo numerose aziende dolciarie specializzate nella produzione di cioccolato, ma la materia prima proviene da una pianta che non cresce nel nostro paese.
L’albero Theobroma cacao da cui provengono i semi, infatti, cresce nei climi tropicali. È interessante notare che la parola “Theobroma” deriva dal greco e significa proprio “cibo degli dei”.
I semi, una volta separati dal frutto, vengono coperti di foglie e fatti fermentare. Gli enzimi e i microrganismi presenti lavorano per rimuovere le componenti responsabili del sapore amaro e rendono più scuri i semi, che da biancastri diventano marrone chiaro.
I semi vengono fatti essiccare al sole per alcuni giorni. A questo punto sono pronti per essere trasferiti allo stabilimento dove avviene la produzione del cioccolato.
I semi giunti in stabilimento vengono sottoposti a tostatura per migliorarne l’aroma, vengono privati del guscio, macinati in appositi mulini.
Il calore derivante dall’azione meccanica di macinazione fa fondere il grasso del cacao, il noto burro di cacao che costituisce circa il 55% del contenuto del seme. Il risultato è una massa fluida chiamata pasta di cacao che rappresenta la materia prima di partenza per la produzione dei diversi tipi di cioccolato esistenti in commercio, con l’eccezione del cioccolato bianco che si produce a partire dal burro di cacao. In questo articolo ci soffermiamo in particolare sulla differenza tra cioccolato fondente, cioccolato al latte e cioccolato bianco.
In Italia la normativa vigente in materia di etichettatura del cioccolato è il decreto legislativo 178/2003, attuazione della direttiva europea 2000/36/CE relativa ai prodotti di cacao e di cioccolato destinati all’alimentazione umana.
Il decreto citato prevede che:
Il Cioccolato è il prodotto ottenuto da prodotti di cacao e zuccheri che presenta un tenore minimo di sostanza secca totale di cacao del 35 per cento, di cui non meno del 18 per cento di burro di cacao e non meno del 14 per cento di cacao secco sgrassato (il cacao secco sgrassato ha un tenore in burro di cacao inferiore al 20%).
Nella prassi comune il termine “cioccolato” può essere completato dalla dicitura “fondente” per meglio distinguerlo da altri tipi di cioccolato. Nel fondente sono presenti almeno il 45% di pasta di cacao e almeno il 28% di burro di cacao. L’extra-fondente contiene una percentuale di cacao che può superare il 70%.
Il cioccolato al latte è il prodotto ottenuto da prodotti di cacao, zuccheri e latte o prodotti derivati dal latte e che presenta un tenore minimo:
a) di sostanza secca totale di cacao del 25 per cento;
b) di sostanza secca del latte ottenuta dalla disidratazione parziale o totale di latte intero, di latte parzialmente o totalmente scremato, di panna, di panna parzialmente o totalmente disidratata, di burro o di grassi del latte del 14 per cento;
c) di cacao secco sgrassato del 2,5 per cento;
d) di grassi del latte del 3,5 per cento;
e) di grassi totali (burro di cacao e grassi del latte) del 25 per cento.
Esiste anche un “cioccolato al latte comune” che ha delle differenze rispetto al “cioccolato al latte”. Le abbiamo riassunte nella tabellina di seguito:
Il cioccolato bianco in realtà non è cioccolato nel senso tecnico del termine in quanto non contiene cacao la cui presenza è prevista nella definizione di “cioccolato” di cui all’allegato I al punto 3.
Tuttavia, la normativa contempla anche una definizione di cioccolato bianco che prevede:
Cioccolato bianco, il prodotto ottenuto da burro di cacao, latte o prodotti derivati dal latte e zuccheri, e che contiene non meno del 20 per cento di burro di cacao e del 14 per cento di sostanza secca del latte ottenuta dalla disidratazione parziale o totale del latte intero, del latte parzialmente o totalmente scremato, di panna, di panna parzialmente o totalmente disidratata, di burro o di grassi del latte; questi ultimi devono essere presenti in quantità pari almeno al 3,5 per cento.
Come abbiamo accennato, non contiene cacao.
Una novità introdotta dalla Direttiva europea del 2000 recepita in Italia con il decreto 178 è stata la possibilità di impiegare nelle formulazioni dei vari cioccolati anche grassi diversi dal burro di cacao.
Questi “grassi diversi” sono elencati all’allegato II del decreto:
- burro d’illipè
- olio di palma
- grasso e stearina di Shorea robusta (sai)
- burro di karitè
- burro di cocum
- nocciolo di mango
L’uso di questi grassi è consentito nel limite del 5% del prodotto finito. L’aggiunta di grassi diversi dal burro in cacao in misura maggiore del 5% è sanzionabile ai sensi dell’art. 7 del D.Lgs. 178/03 con una sanzione pecuniaria da 1000 a 5000 euro.
Abbiamo visto le definizioni di alcuni tipi di cioccolato dal punto di vista normativo.
Quali sono fasi fondamentali durante la produzione del cioccolato una volta ottenuta la pasta di cacao a cui abbiamo accennato all’inizio del post?
Ci sono fondamentalmente due passaggi davvero cruciali per la qualità del prodotto finito: si tratta del concaggio e del temperaggio:
La fase di concaggio consiste nell’emulsionare la pasta di cacao tenendola in apposite conche ad una temperatura compresa tra +60 e +70°C per 2-5 giorni (il tempo di concaggio è strettamente legato alla qualità del cioccolato. Più il cioccolato è scadente, maggiore sarà il tempo di concaggio richiesto). Il procedimento consente di arieggiare il prodotto, eliminare l’umidità e gli acidi volatili migliorando aspetto e colore del prodotto.
Il temperaggio è la fase successiva al concaggio e prevede l’abbassamento della temperatura a +28/+30°C per favorire l’ottenimento di un prodotto più omogeneo e stabile.
È molto importante conservare correttamente il cioccolato. Sappiamo che si conserva a temperatura ambiente, ma il caldo eccessivo non va d’accordo con il cioccolato. Una nota azienda italiana, infatti, ritira dal mercato le proprie famose praline nel periodo estivo…
La temperatura ideale di conservazione è compresa tra +13°C e +18°C.
Cosa accade al cioccolato se viene conservato male e subisce sbalzi di temperatura? Si verifica un fenomeno caratteristico che è l’affioramento della frazione grassa, il cosiddetto “fat-bloom”. In pratica il burro di cacao fonde durante la conservazione, affiora e si ricristallizza causando la formazione di uno sbiancamento superficiale.
Si può ancora mangiare? Per quanto possa suscitare perplessità, dubbi o diffidenza nel consumatore, questo fenomeno non rappresenta un problema da un punto di vista della sicurezza igienica del prodotto.
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Classe 1980, tecnologa alimentare, consulente e formatrice per operatori del settore. Nel 2005 ha conseguito la laurea in Scienze e Tecnologie Alimentari presso la Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Milano. È autrice di articoli, manuali tecnici e realizza corsi di formazione per operatori del settore alimentare.