Pastorizzazione e sterilizzazione sono trattamenti termici di bonifica importantissimi per garantire la sicurezza alimentare. Vediamo insieme le differenze e gli ambiti di impiego dei due trattamenti.
Pastorizzazione e sterilizzazione
Pastorizzazione e sterilizzazione
In uno degli articoli recenti del blog abbiamo anticipato l’importanza del trattamento termico nel controllo della diffusione della brucellosi, una zoonosi associata al consumo di latte e derivati contaminati e non sottoposti a trattamento termico.
In questo post approfondiamo le caratteristiche dei trattamenti termici di pastorizzazione e sterilizzazione.
La pastorizzazione è uno dei principali processi termici dell’industria alimentare, soprattutto per quanto riguarda il latte, ma anche per i succhi di frutta e le conserve. Viene condotta a temperature inferiori o uguali a +100°C ed è in grado di eliminare:
- le forme microbiche non sporigene (cioè incapaci, in condizioni sfavorevoli di sviluppo, di convertirsi in forme di vita quiescenti, le spore appunto) e
- gli enzimi (proteine naturalmente presenti negli alimenti. Si tratta di proteine con un ruolo importantissimo. Sono in grado, infatti, di rendere più veloci le reazioni che normalmente avvengono in un alimento).
La pastorizzazione rappresenta un trattamento di bonifica che nel caso del latte, ad esempio, è in grado di eliminare Mycobacterium tuberculosis, Brucella abortis, Streptococcus pyogenes e salmonelle eventualmente presenti.
La sterilizzazione: un trattamento termico più drastico
Rispetto alla pastorizzazione, la sterilizzazione è un trattamento termico molto più drastico che comporta la riduzione a livelli molto bassi della probabilità di sopravvivenza di spore termoresistenti e l’eliminazione di tutte le altre forme microbiche.
La sterilizzazione è applicata nel caso del latte UHT (ultra-high temperature: temperatura ultra-alta), ma anche per molti alimenti inscatolati in contenitori sigillati, come le conserve.
In quest’ultimo caso l’entità del trattamento termico dipende dall’acidità del prodotto stesso. Infatti, per alimenti acidi con pH fino a 4,5 (esempio agrumi e pomodori) le temperature richieste non sono superiori ai 100°C per tempi compresi tra 8 e 16 minuti, mentre per alimenti non acidi come le conserve di carne, di pesce e vegetali il trattamento impone l’utilizzo di temperature intorno ai 121 °C per 8–16 minuti.
La sterilizzazione non consente di ottenere la morte della totalità dei microrganismi presenti nell’alimento, ma consente di ridurne notevolmente il numero, garantendo la sicurezza igienica del prodotto e la possibilità di conservarlo a temperatura ambiente.
Naturalmente, una volta aperto il prodotto, anche se sottoposto a sterilizzazione, deve essere conservato in frigorifero e consumato in pochi giorni. È il caso, ad esempio, delle conserve industriali sottolio.
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Classe 1980, tecnologa alimentare, consulente e formatrice per operatori del settore. Nel 2005 ha conseguito la laurea in Scienze e Tecnologie Alimentari presso la Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Milano. È autrice di articoli, manuali tecnici e realizza corsi di formazione per operatori del settore alimentare.